30 Aug 2020 - MDA DS
Questo è uno di quei post belli carichi.
In effetti questo desiderio di buttare giu il seguente post è dovuto in primis a come si sta evolvendo il concept della mia nuova raccolta(niente spoiler!), man mano che ne scrivo le poesie, di cui ne assaggerete due più sotto, quindi buona lettura!
Col termine che ho usato nel titolo ovviamente non intendo poesie qualitativamente brutte o fatte male, ma piuttosto poesie che, per un insieme di tematiche e modo in cui sono scritte, danno una sensazione sgradevole o pesante; e la cosa bella è proprio che una buona poesia che parla di una brutta cosa puo fare un effetto davvero particolare ed è in parte su questo che voglio soffermarmi nella nuova raccolta ed esattamente su questo che voglio soffermarmi con le poesie di cui giu.
Ma fatte le dovute premesse andiamo a toccare con mano qualcosa:
Tagli sul cuore
Per sconfiggere il dolore
Li replico altroveTagli sulle braccia
Passa una lametta
E il dolore passaSangue sulle dita
In quel caldo liquore
C’è la mia vitaCicatrici sulla mente
A parte la vergogna
Non resta nienteIdiomi sulla pelle
Linguaggio oscuro
Di chi la vita repelle
Riporto questa poesia1 per prima cosa perché è sicuramente una poesia che ho apprezzato molto quando la scrissi; nel complesso, rivedendo oggi le poesie che scrivevo all’epoca, è una di quello che posso considerare, volendo avere un occhio critico, tutto sommato ben fatta, lo schema funziona e il topic, soprattutto all’epoca, mi stava a cuore.
Non tanto perche sia mai stato un convinto autolesionista, a parte qualche sporadica occasione in quel limitato frangente della mia vita,ma perché comunque l’idea di autodistruggersi come gesto catartico inconsciamente penso condizioni quasi tutti, con risultati anche molto brutti a volte; a me personalmente è capitato spesso di cascarci, oggi meno anche se appena lavoro un po’ troppo mi faccio un goccio, che sia stato col tabacco, l’alcool o anche, sempre nel periodo della stesura di questa poesia, col tagliarsi; sono meccanismi con cui ci proteggiamo, nel senso che attraverso questo autolesionismo prendiamo coraggio per non scendere ancora di più, è come assumere il veleno a gocce per non morirci mai.
Questo sarebbe il succo di ciò che la poesia prova a dire, insieme a tutti gli effetti collaterali di questa pratica: la vergogna e la graduale incapacità di gestire i propri vizi; il tagliarsi pare una cosa fuori dal mondo per la gran parte della gente ma personalmente non l’ho vissuto in modo tanto diverso da come ho vissuto alcool e tabacco, con la differenza che questi sono piu godibili e decisamente piu assuefacenti, e per questo hanno sicuramente avuto su di me una presa mooolto più forte.
Altro motivo per cui la riporto è perche un mio amico stretto la definì precisamente “schifosa”, intendendo proprio che gli faceva in qualche modo senso ed era, a modo suo, cruda; cosa questa che la rende perfetta come esempio preliminare, sebbene non la scrissi con quell’intenzione, anzi tutt’altro.
Il punto però è proprio che rappresenta una realta deviante in qualche modo da dei canoni non semplicemente sociali ma in un certo senso umani, una pratica o eventualità che non va semplicemente contro degli usi o costumi ma proprio contro un umano e universale buon senso, che genera quindi nel soggetto che vi si avvicina un certo grado di repulsione, cosa che infatti, in modo molto piu istintivo, esprimevo gia all’epoca parlando, appunto,di vergogna e repulsione nelle ultime strofe.
E andando proprio sul lato tecnico, tutta la poesia è sviluppata su una climax, che serve a rappresentare il modo in cui questo tipo di esperienza si vive.
a partire da un bisogno, come una insoddisfazione e una necessitàche ci porta ad agire, nel modo che di solito gia conosciamo, quindi il gesto vero e proprio, diretto e appunto crudo, senza orpelli, seguito da tutta l’esplosione di emozioni che ne deriva: l’ebbrezza (il termine liquore) seguita dalla razionalizzazione del gesto e quindi dalla vergogna, siamo anche noi umani e razionali dopo tutto, ed infine l’indelebile marchio che questo atto lascia su di noi, anche fisico nel caso del tagliarsi, ma non semplicemente tale.
I due esempi recenti invece li mostro ora di seguito:
mosca scura e zozza infiltrandosi
tra pieghe e piaghe
con cura rozza sgocciolando
finta vita
con meccanica locomozione
carcassa dipinta
di larve, bianche e tonde
La prima è una poesia che mi era venuta in mente qualche settimana prima di scriverla, osservando la bruttissima accoppiata che puo essere un banco di affettati e il limitrofo banco del pesce con tutte le mosche che puo chiaramente attrarre.
E niente, l’associazione è piu o meno chiara e non meno malata, in effetti c’è un che di familiare tra il modo in cui un necrofilo può rapportarsi con un cadavere e il modo in cui può farlo una mosca, sebbene la poesia in se non sia diretta e approfitti di questa associazione, non per forza universale, per esprimersi.
Il tutto comunque in una serie di costrutti verbali che mi piacciono molto e penso rendano il risultato piu elegante di quanto il soggetto non meriti, e l’effetto interessante sta forse proprio in questo, la facilità di lettura in contrapposiziome alla repulsione che invece l’opera dovrebbe trasmettere.
Il secondo esempio, ancora piu recente, è peraltro anche piu interessante:
In quest’atmosfera cupa
è muta
e intrisa di terrore
la voce che ci piace
lei giace e la percuote
la tiene per le gote
e gode
virile e virulento
e violento la comprime
si esprime con le mani
ed opprime i suoi respiri
soffusi e presto vani
s’offusca in lei il domani
e sopprime
Lo è perché il soggetto, ben piu verosimile ed attuale, rappresenta una devianza conosciuta e per questo piu terribile; non ha la nota stravagante del neceofilo, una figura sufficientemente particolare da poter esistere solo nell’opera alla stregua di un vampiro o uno zombie, e per questo rappresenta una bruttura che esiste anche dentro di noi nel momento in cui un nostro simile massacra di botte una donna (la poesia tratta chiaramente un episodio di violenza domestica), a causa del suo realismo, anche per questo il titolo (per cui devo ringraziare mio fratello, che tra l’altro compie gli anni in questi giorni) che sottolinea il senso di appartenenza che non vorremmo provare, ma che al contempo è cio che ci permette di fare una distinzione, solo esseri in qualche modo simili possono mettrersi a paragone, e di fare una scelta chiara e decisa nel ripudiare quel particolare comportamento; non è fantasia, è reale, quell’uomo potrei essere io, ma proprio per questo posso prendere responsabilitaà e decidere di non esserlo.
A livello tecnico l’ho adorata da subito; condivide un moto stilistico con la precedente, tuttavia forse è una lettura ancora piu godibile e liscia e le figure e immagini si concatenano in una climax che fa scivolare la poesia, sebbene i versi brevi spezzino e rallentino un poco, in modo estremamente naturale e piacevole, effetto che cerco di ottenere sfruttando ogni rima e ogni assonanza per connettere ogni verso al precedente facendoli scorrere uno dopo l’altro in sequenza inarrestabile; la sensazione che ho cercato è quella di una serie di versi che si pronunciano come una respirazione, che da tranquilla diventa sempre piu affannosa e poi si interrompe di botto, nel momento in cui la lettura ti ha forzato il ritmo lasciandoti senza fiato manca una pausa vera e la conclusione ti coglie d’improvviso lasciandoti letteralmente senza fiato come la protagonista.
Ho cercato insomma di rendere la lettura godibile nei suoni ma sofferta nel ritmo, il passo successivo nel concetto che dicevo prima.
Bhe queste erano ovviamente le mie intenzioni nello scrivere, poi ovviamente l’interpretazione personale segue altre strade, quindi se vi va fatemi sapere come avete accolto le poesie e cosa vi hanno trasmesso, per il resto al prossimo post.
Questa poesia è inclusa nella mia prima raccolta “gente che grida piano” che trovi nella vetrina delle opere in homepage. ↩