21 Jul 2021 - MDA DS
Prima di dedicarmi a qualche altro poeta, ho deciso di approfondire una mia poesia, cosa che non faccio da un po’.
Si tratta di una delle prime poesie scritte su questo genere, dopo la scorsa raccolta, che sarà una delle parti della successiva raccolta1.
Il tema è una sorta di ritratto verbale, in questo caso specifico si tratta di una cassiera, vista da un narratore terzo.
Ecco il testo:
Latte blip uova blip cola blop
panemulticerealebiodafilieracontrollata… blup
prego una busta?
grazie mi gusta.
e scivola una plastica con due dita
come fosse ambientalista
seguita stretto stretto da due borse
non vado di corsa fagioli tric
pepenero tric lattuga troc
ma datti una mossa patate-trac!
comunicazione interna: (fuck…)
Gualtiero in cassa tré, tonnoré flic
cioccolatomadagascar72%…
CIOCCOLATOMADAGASCAR72%!…
un improvviso sbuffo-sbadiglio
mi fa cascar le braccia e il mento
sbliribiribim-bom cioccolatomadagascar72%
2,29€ (peggio mi sento)
scusi ma
c’era scritto
un-euro-e-ottantanove
solo per chi ha la carta
capisco e
mi scusi l’errore
allora me lo scarta
un altro sbadiglio-sbuffo
mi sento in colpa e le dico
buffo
quando sono stato
in Madagascar
cioccolato non ce n’era
sale himalaya flop
57,34€, contati o carta?
pago pos
contact?
‘fcourse
grazie e buona notte
ops
Ci sono diversi aspetti interessanti, che tra l’altro ho in parte reiterato in altre poesie su questo modello: in primis una certa chiara distinzione dei dialoghi dal resto della narrazione, sulla base di espedienti tecnici, in particolare l’uso di rime regolari e la gradinatura, che fuori dal contesto dialogato mancano.
Questo espediente è interessante perché cerca di dare un senso di artificiosità, proprio in quei momenti in cui ci si aspetterebbe una certa naturalezza discorsiva, corda che viene tirata fino alle estreme conseguenze fino quasi a spezzarsi in chiusura, in cui la “stramberia” schivata al penultimo verso è seguita da “ops”, anagramma di “pos” che ricollega alla precedente cascata di termini.
Se queste accortezze rendono i dialoghi in certo modo faticosi da mandar giu, col risultato di creare e iterare una sorta di atmosfera del “socially awkward”, il resto della narrazione si divide in due “ambienti”: i dialoghi interiori del narratore e il mondo reale.
Quest’ultimo ha come espediente principe le onomatopee, variegate, ridicolizzatrici e polimorfe, che hanno l’effetto altretanto stravagante di rendere disomogeneo l’operato, usualmente meccanico e standardizzato, del nastro cassa fino al punto limite della fallibilità, come esce fuori dal termine ambiguo “patate-trac”, che richiama il modo “patatrac”, ma allo stesso tempo sublima l’espediente dell’onomatopea fondendolo col parallelo campo degli alimenti acquistati, improbabilmente semplici e complessi uno accanto all’altro.
queste modalità distorcono completamente il dominio meccanico che il nastro trasportatore avrebbe sulla cassiera nel modello idealizzato di un supermercato, quest’ultima si riappropria del macchinario, e quindi in ultima analisi di se stessa, invertendo il processo di meccanicizzazione che questo esercita su di lei, alla fine non è la cassiera a diventare meccanica, ripetitiva ed efficiente, ma paradossalmente è il nastro-cassa a diventare incoerente, disordinato e fallibile, in una parola umano.
A contrapporsi a questo processo c’è il narratore-cliente e la sua insoddisfazione, che trapela dai dialoghi interiori, dove regna l’osservazione delle circostanze, la fallibilità della macchina si traduce in insoddisfazione nei limiti dell’assenza di umanità nella controparte macchina-cassiera: l’imperfetto soddisfacimento dei suoi bisogni comporta per il cliente insoddisfazione, ma questo va scemando man mano che, imponendo la sua inefficienza, la cassiera-macchina costringe il cliente a riconoscerne l’umanità; Addirittura il risultato è il senso di colpa, inappagato nelle incapacità relazionali, nell’innaturealezza e celato vanto del discorso sul Madagascar.
Il fatto incredibile è che il ritratto della cassiera, reale soggetto del componimento a dar retta al titolo, esce fuori solo tramite questi rimuginamenti del cliente-narratore; Ciò cosa comporta? Che la stessa umanità della cassiera esiste solo quel tanto che emerge dalla sua incapacità, ovvero dal non uniformarsi alla macchina, cioè nel solo modo di sopravvivere alla produzione troppo accelerata.
Il prodotto di questo duello silenzioso tra il bisogno di sopravvivenza della cassiera e il vizio dell’efficienza anonimizzato del cliente è lo scoppio di socialità: le ultime parole del cliente sono un pungente e scortese “buona notte”, solo pezzo di dialogo così nettamente scollegato dal resto (come dicevo all’inizio), la cassiera si ricostituisce come umano, nei confronti del quale si può provare stizzimento, compassione, e verso cui ci si può pure incazzare.
Al di là della critica e del senso del componimento, questo è un pezzo stilisticamente molto importante per me e lo considero tra i meglio riusciti degli ultimi tempi, anche se non è più recentissimo: Ha un senso interessante ed onesto, è piacevole da leggere (e anche da recitare in effetti) e penso sia ben costruito.
Per questi motivi avrà sicuramente una posizione di rilievo nella prossima raccolta.
La prossima raccolta sarà probabilmente molto corposa e variegata, al momento non ho eccessiva fretta, quindi continuo a scrivere, ma nel complesso la lascio un po’ “fermentare”. ↩