Sanguineti in Triperuno

02 Oct 2021 - MDA DS

Come avevo annunciato, mi appresto qui a parlare di Edoardo Sanguineti; Piu propriamente, del Sanguineti autore di triperuno (laborintus, erotopaegnia e purgatorio de l’inferno), nonché tra i capisaldi della neoavanguardia.

Si tratta, questa, di un’operazione ingombrante e necessaria:

Per cominciare quindi penso sia da chiarire un punto: la neoavanguardia in generale e il primo Sanguineti in particolare sono questioni strettamente legate al loro periodo storico.
Questa è una verità multilivello:

Se è, a fronte di queste considerazioni, relativamente facile trovare le radici dell’opera tra gli anni ‘50 e i primi ‘60 di Sanguineti nel modernismo e nel nuovo assetto profondamente politico e sociale dell’italia repubblicana e antifascista, è ben più difficile scalare l’albero e trovarne la portata reale.
Anzitutto a fronte del fatto che, seppur opere diverse composte non contemporaneamente, le diverse parti di triperuno respirano la stessa aria e nella loro interezza mostrano chiaro un più o meno volontario progetto creativo, organico ed evolutivamente uniforme.
Per arrivare a ciò, tuttavia, vediamo prima le opere nella loro individualità.

LABORINTUS

Titulus est
Laborintus
Quasi laborem
Habens intus

Con queste parole si apre l’opera, una citazione ad un manuale duecentesco di poetica di Everardo Alemanno, da cui lo stesso titolo “Laborintus” è preso.
E proprio questa operazione smaschera direttamente uno dei tratti più caratteristici del testo, che è parte integrante della filosofia dei novissimi ma assume particolare rilievo appunto in Sanguineti, ovvero la varietà ed ampia portata degli spunti letterari.
Questa sorta di eclettismo pervade il “Laborintus”  e ne costituisce uno dei tratti più celebri e caratteristici, che lo stesso Giuliani prende come elemento chiave nel discutere Sanguineti andando a trovare uno dei motivi più costruttivi della struttura neoavanguardista, che fa di questa tendenza uno dei prototipi del polimorfismo su cui si impernia la sua teoria.

Accanto al polimorfismo, altro caposaldo dei novissimi è il multilinguismo, già proprio del pagliarini de “la ragazza carla”, ma che in “Laborintus” trova una delle massime espressioni, sia dal punto di vista idiomatico che di registro.
Nell’opera si contano tutte le lingue maggiori che non possono mancare nel bagaglio culturale di un letterato, da greco e latino a francese e inglese, attraverso le quali il discorso poetico si articola in modo del tutto naturale e con non chalance, andando e venendo rispetto all’italiano.

Se aggiungiamo alle caratteristiche un verso tendenzialmente lungo e discorsivo e un accenno di gradinatura abbiamo, in termini generali, il ritratto anatomico delle liriche che compongono “Laborintus”: dei componimenti fondamentalmente destrutturati (termine azzardato ma perdonabile) in termini lessicali, ma che riescono a sugerrire, e ci riescono perché è in realtà sapientemente presente, una logica di discorso e una pienezza di suggestioni.

Ed è proprio in questi spezzoni monologativi che emergono pensieri, ansie, frustrazioni e ragionamenti di un Sanguineti assolutamente uomo del suo tempo, che osserva e resta colpito da grandi stravolgimenti socio-politici come la guerra fredda e l’aftermath atomico, in una narrazione che è stata vista, da una fetta consistente della critica del suo tempo e da lui stesso, come una grande nevrosi innanzitutto personale, ma che proprio nella sua veste personale e individuale fa da prototipo e esempio di una nevrosi assolutamente collettiva, in una inclusione uomo-massa (rapporto cruciale di tutta l’arte pre-contemporanea e non solo) che fa da altro punto cardine nella sensibilità dei novissimi.

Per iniziare a toccare con mano queste proprietà dell’opera guardiamo al primo pezzo della parte 3:

Insistenza sopra il medesimo ούροβόρος Death Valley comprensione
della circoscrizione ma irredimibile sopra la medesima insistenza
e trasposizione Valles Mortis ma organizzata turisticamente
pessima Bad Water uh veramente pessima inferiore
sottoelevata in confronto a qualsivoglia giudizio depressa
nei riguardi delle relazioni che sono state proposte
giudiziosamente delirando sollecitamente istituite
dopo il preliminare naufragio mentale i miseri sali della strettezza
per il rinvigorimento delle appendici desertiche qui ristagnano
non innalzabili le ramificazioni pure redimibili in solitudini

I primi dettagli che saltano all’occhio sono, volutamente, i luoghi nominati, ovvero Death Valley, una zona desertica statunitense, e Bad Water, il punto più basso relativamente al livello del mare degli USA e sede di saline.
Questi luoghi sono ripassati circolarmente attraverso i termini “insistenza”, “comprensione”, “circoscrizione”, tutti ricompresi nel termine “ούροβόρος”, che movimentano queste “immagini-totem”, raccoglitori di significato anche comune attraverao i quali si materializzano tanto caratteristiche sensoriali quanto giudizi.
Partendo dai nomi suggestivamente negativi (death, bad) si articola in una serie di qualità bivalentemente materiali e morali una atmosfera la cui evoluzione attraverso le varie fasi della narrazione veicola, in modo più semplice e straordinario di quanto questa descrizione faccia apparire, il messaggio.
Dalle saline di bad water, così basse e quindi infime e pessime, si estraggono i sali, astringenti e quindi della strettezza.

Da un punto di vista tecnico troviamo il multilinguismo, che permette di condensare i significati in formule (“ούροβόρος”, ma anche le stesse immagini di “Death Valley”=”Valles Mortis” e “Bad Water”) e la vivacità espressiva di Sanguineti, altalenante e verbosa che vive dei suoni e delle singolarità terminologiche più che metriche, ma anche di chicche strutturali, come l’ “insistenza sopra il medesimo” che si richiude in “sopra la medesima insistenza” disegnando anche graficamente l’“ούροβόρος” che regna su questi due versi.

Ancora notevolissima è la parte 8:

ritorna mia luna in alternative di pienezza e di esiguità
mia luna al bivio e lingua di luna
cronometro sepolto e Sinus Roris e salmodia litania ombra
ferro di cavallo e margherita e mammela malata e nausea
(vedo i miei pesci morire sopra gli scogli delle tue ciglia)
e disavventura e ostacolo passo doppio epidemia chorus e mese di aprile
apposizione ventilata risucchio di inibizione e coda e strumento
mostra di tutto o anche insetto o accostamento di giallo e di nero
dunque foglia in campo
tu pipistrello in pesce luna tu macchia in augmento lunae
(dunque in campo giallo e nero) pennello del sogno talvolta luogo comune
vor der Mondbrücke vor den Mondbrüchen
in un orizzonte isterico di paglia maiale impagliato con ali di farfalla
crittografia maschera polvere da sparo fegato indemoniato nulla

Qui l’andamento è reso spasmodico dalla moltitudine di immagini animali, naturali, di strumenti, che si alternano e compenetrano attraverso espedienti fonetici e retorici come “luna”-“lunae”-“luogo comune” oppure “paglia magliale impagliato”-“ali di farfalla”-“indemoniato nulla”.
L’effetto è forse anche comico-magico, come suggerisce il mese di aprile, mese del pesce (rinominato poi) di aprile cioe degli scherzi e dei giochi, ma anche di primavera che suggerisce il significato di “Roris” come rugiada, in un visibile effetto di compenetrazione logica e cronologica dei versi.
E proprio il “Sinus Roris” è immagine chiave, giacché sinus, ovvero sinuosità e anche ostacolo, ma senza scordare la suggestione erotica (un po’ freudiana forse), ricorre come termine e prende parte nella creazione di uno degli ampi topoi dell’opera, come sono anche la palus putredinis e i nomi di Ellie e Laszo, centrale qui e suggestivamente seguito dai termini “e margherita e mammella malata” metricamente preminenti in quei versi e che rimandano proprio ai molteplici significati di sinus roris.

E qui tocchiamo un punto fondamentale e alla base della celebrità del “Laborintus”, ovvero la sua popolazione di immagini e appunto topoi (che mi sembra il termine più azzeccato che si possa trovare): i continui rimandi figurativi sono al contempo ambigui e ripetitivi: i pesci, la bassezza, sinus, per restare su immagini che abbiamo toccato con mano, ritornano più volte, sia con i medesimi che con diversi ruoli, assemblando disordinatamente un mosaico che si potrebbe passare dei secoli a smontare e rimontare, come un puzzle.

Senza dilungarmi ulteriormente segnalo il trittico 23-25, che ho trovato tra le parti piu interessanti dell’opera.

EROTOPAEGNIA

Erotopaegnia, il cui significato è all’incirca “scherzi d’amore”, prende ispirazione, squisitamente letteraria, dal titolo di un’opera perduta di Laevius, un poeta latino del II-I secolo AC.
Il titolo quindi segue la prassi citazionale ed eccentrica inaugurata con “Laborintus”, con una scelta senz’altro molto azzeccata che immediatamente suggerisce la maggiore tematica, ovvero quella erotica, che con le sue suggestioni pervade l’opera.

Se da un punto di vista stilistico le acquisizioni del precedente lavoro rimangono, i testi sono mediamente più brevi (i versi tuttavia restano quasi esclusivamente lunghi) con alcune singole scelte particolarmente corte.
Il risultato tuttavia pare spesso meno caotico rispetto a “Laborintus”: innanzitutto la circoscrizione ad un singolo, seppur ampio, campo del discorso, ovvero quello dell’eros, dirige un po’ di più l’attenzione e l’immaginazione del lettore, che il titolo prepara già per l’operazione; In secondo luogo, avendo già imboccata la via interprerativa corretta, le immagini e i doppi sensi si susseguono e mostrano in modo estremamente naturale.

Questa impostazione tuttavia può, erroneamente, far supporre una certa semplicità e monotonia.
Invece i 17 componimenti riescono ad essere molto variegati e a creare una unità dialogativa e logica molto suggestiva nel loro susseguirsi e nell’alternarsi delle loro immagini.
Questo è ottenuto sempre mediante la costruzione di alcuni topoi, o immagini chiave, che si ripresentano in interi blocchi narrativi di componimenti e che accompagnano il lettore attraverso le diverse scene, che paiono rappresentare episodi di sessualità all’interno di strutture accademiche o nel privato, momenti di masturbazione e anche momenti che si riferiscono alla gravidanza e all’avere un bambino, ma anche attraverso un importante gioco di tempi verbali.

Per approfondire vediamo innanzitutto la parte 4:

in te dormiva come un fibroma asciutto, come una magra tenia, un sogno;
ora pesta la ghiaia, ora scuote la propria ombra; ora stride,
deglutisce, orina, avendo atteso da sempre il gusto
della camomilla, la temperatura della lepre, il rumore della grandine,
la forma del tetto, il colore della paglia:
                 senza rimedio il tempo
si è rivolto verso i suoi giorni; la terra offre immagini confuse;
saprà riconoscere la capra, il contadino, il cannone?
non queste forbici veramente sperava, non questa pera,
quando tremava in quel tuo sacco di membrane opache.

Vediamo subito l’attacco che caratterizza tutta la poesia: “in te dormiva”, che dà subito l’idea del bambino, in particolare dentro il grembo materno.
A fianco di questa piu immediata interpretazione c’è quella del bambino fra le braccia della madre, che rientra immediatamente attraverso i successivi versi, come “… ora stride, deglutisce, orina…”, coronati dalla frase “avendo atteso da sempre” che rincalza le due temporalità che stiamo abbracciando, comprimendole più propriamente: il bambino è l’essere in attesa durante la gravidanza, in attesa delle esperienze del mondo che sono “il gusto della camomilla, […] il colore della paglia”, suggestioni così immediate e semplici da risultare infantili, ma che abbracciano completamente la sensorialità umana e vagamente richiamano alcune caratteristiche del parto.

Questo andamento cronologico a ritroso (dalle braccia della madre al ventre) si raddrizza di nuovo nel gradino “paglia: / il tempo” riprendendo un normale scorrere, segnato da sensorialità minacciose, alla capra segue il contadino (dall’animale all’uomo, dalla risorsa all’estrattore) cui segue il cannone e quindi la guerra; A far tremare fin dagli albori, nel “sacco di membrane opache” che è il ventre, sono sia le forbici (il nemico per antonomasia del pargolo nella fantasia domestica!?) Che la pera (la cui dolcezza e forma non può che richiamare il seno materno), una primordiale precarietà ma ricchezza dell’esistenza.

Continuiamo con la parte 9, centralissima e notevolissima:

e oltre la porta a vetri, l’improvvisa piscina; e lei, e nella nebbia,
una volta ancora, e perduta!
             osservavo infatti(e da una di quelle finestrette)
la piazza deserta, i palazzi deformi, crollanti: ancora ascoltavo, ancora
quel silenzio; e quell’aria odoravo, e immobile; e io stesso infatti,
e perduto, ancora; ma oltre i vetri vedi grigiastra l’acqua; vedi
i viluppi di vibrati, di arsi nudi, e ancora:
                 ancora il pulito
fiato di lei desiderando; e io stesso, allora, e in quell’acqua, miseramente,
e perduto; e la gola di lei, e ancora, e la pulita, di lei, allora, gola!
dall’acqua, e in un singultio, quegli iracondi, immensi, oscillando, nudi!
tiepido, oh tiepido coro, oh molle, toccando, coro, ciò che nominavano;
coro, ancora: testibus (esplosivi gridando)! testibus (deformi toccando)!
testibus (deformi testes!)! et praesentibus, oh!
                e penetrava la caligine;
e lucidissima; e vibrante, allora, ardente, l’acqua; e in calde coppe,
copulati; in stridenti vasche, voltolati; urlando, bollenti:
in questo ventre (così allora urlando!) premendo! pressi, allora, gemendo;
colando, impressi: oh, frangibili (dissi);
               e vidi lei, innescata, grondando, oh!
(praesentibus testibus vidi); lei vibrata vidi; vibrante; lei appunto;
                     pressa.

In questo scritto compaiono molti motivi centralissimi come l’acqua e la liquidità, la nebbia, il “fiato di lei”, tutte immagini che ritornano in altre parti e assumono una molteplicità di significati.
Il significato complessivo di questo passo è scandito di prima mano dai tempi verbali mutevolissimi, che introducono un ricordo del passato con gli imperfetti (e in questo senso la nebbia suggerisce una sfocatezza mentale); segue un passaggio, attraverso l’indicativo presente, quindi attualità, al gerundio che intende una continuità.
Va sottolineata l’immagine del fiato che accosta un ambito molto sensuale con il bacio e la vicinanza tanto erotica dei volti, ma richiama forse anche un senso vivificante, essendo il fiato e il respiro classicamente il segno dell’anima (il pneuma), che assume più potenza inserito nell’atmosfera surrealisticamente desolante dei palazzi deformi e del silenzioso deserto, cui seguono infatti cori vitali.

La successiva mescolanza di participi da il senso dell’azione che si è consumata e si consuma conducendo alla conclusione in cui questa processione temporale è ricompressa ancora in un’unità “lei vibrata vidi; vibrante; lei appunto;”

Per terminare guardiamo alla parte 17, la conclusiva:

e nella luce obliqua, infine, dell’obliquo tramonto, nell’accademico,
copulativo colombario; et me, et lo studente (scholasticellulum illum),
(il morbido cavallo, il tenero, l’infantile cavallo); e lei!
infine; lei ahi! columbatim, ovviamente, lei ahi! copulans;
lo studente vidi (dall’urna sua);
        boobus! (ovviamente orinando); (dal loculo suo);
(dal locutorio vidi): boobus! (esclamare); e: ahi! quale, nella luce obliqua,
apparizione!; e in tale occiduo cielo, infine, lo studente:
from “booby” (disse); from “lucus”… (ammiccando disse); e: “boobytrap”
(lei dubitosa aggiunse); aggiunse: from what I see:
                 with Corporal and Thor!
with Nike and Matador!; e: boobus! (disse lo studente); from “booboisie”…,
from “bourgeoisie,” americanus!
         americanus boobus with Honest John!
(from “John the Fearful,” disse lo studente); (from “dis-honest,” ‘Honest);
e: antifrasi (lo studente); (ex. anuresi, disse); e al boobus: abbaia!
(disse), abbaia! (from “John the Smuthound,” disse lo studente); e il boobus:
oh! oh! (ovviamente disse); ovviamente abbaiando, nell’obliquo tramonto:
                     oh! oh! oh!

Nel primo paragrafo troviamo alcuni temi non nuovi, in particolare quello del cavallo: usato in precedenti parti per indicare precisamente la zona del cavallo dei pantaloni e quindi di riflesso il pene, ma mantenendo sempre l’ambiguità con l’animale.
In questo caso è un cavallo giovane e immaturo, quello di uno studente (scholasticellulum illum oltre alla sonorità interessante si potrebbe tradurre come “quello studentello”), ed introduce l’esplecito atto sessuale (“copulans”).

La svolta interessante è data dal personaggio terzo dello studente americano, che rappresenta una figura ambigua, in quanto lo stesso termine studente è usato sia prima che adesso, ma parrebbe indicare personaggi diversi in quanto prima è un “et me, [ovvero] et lo studente” mentre poi è un “lo studente vidi [io, me]”.
Con questo nuovo spunto comincia l’improbabile e comico gioco di parole “boobus” che se chiaramente richiama il termine “boobs”(tette), nei confronti quindi della figura di lei, da anche una impressione di sciocco.
Da “boobus” chiaramente i giochi verbali proseguono nella sugestione delle etimologie: “boobus […] from “bourgeoisie””; lo studente “americanus” è un honest john, john da “john the fearful” e honest da “dis-honest”, in un senso un po’ spregiativo forse.

La vicenda non è ovvia e lascia molto spazio a sugestioni e interpretazioni chiaramente, ma io personalmente credo che sia un episodio di amore nei bagni accademici in cui un terzo, ovvero lo studente americano, becca sul fatto la coppia.
Suggestioni a parte in questo pezzo il multilinguismo raggiunge livelli altissimi in cui si mischia alla metrica e ai giochi linguistici (esperimenti metrici con l’inglese risalgono già a poesie notevolissime di Pascoli, ma chiaramente da allora si raggiunge una diversa spigliatezza) in un modo molto congeniale alla discorsività del pezzo.

PURGATORIO DE L’INFERNO

Con quest’opera raggiungiamo la fine del trittico “classico” di Sanguineti, che compone triperuno: stavolta il titolo è tratto da un’opera, dall’esistenza dubbiosa (sappiamo che fosse in progetto) di Giordano Bruno.
Si tratta di un modello letterario ormai ben collaudato, che nel pieno del momento avanguardista (il grosso dell’opera è composto tra la pubblicazione de “i novissimi” e la costituzione a palermo del “gruppo ‘63”) viene portato per certi versi alle sue estreme conseguenze: i testi tornano ad essere lunghi e più articolati che mai, la molteplicità di suggestioni e spunti esplode e gli effetti tendono per certi versi più alle operazioni del successivo Balestrini de “la violenza illustrata”, l’effetto prepotente diventa una attualità lucida e concreta più di quanto non fosse in “Laborintus” e allo stesso tempo lo spunto autobiografico viene sviluppato ampiamente.

Le prime tre parti de purgatorio de l’inferno sono sicuramente uno degli attacchi più notevoli che abbia visto, travolgenti e decisissime nel far sentire la maturazione del modello di riferimento.
Vediamo un tratto dalla parte 2:

     parlerò a mio figlio; dirò: ma di tali insistiti segni
l’ostinata, figlio, riconosci dissimulazione (…); ma spiegherò
come la borghesia (alta) italiana; come non posso amarla; come sogna
(ancora); quel fascismo (spiegherò); (questo); come il figlio deve,
adesso; (di cui ha salvato); essere la figura; (la struttura); (…);
della speranza:
       e al giornalista cattolico (P.R.I., forse?) scrissi,
infatti; come era; ah, io devo (dissi); (il Filius); doveva essere, ah;
(illustrazione); della disperazione; una spiegazione devo; della storica
impartecipazione (patita) dalla storia:
             della sofferta alienazione;

Il testo invoca il figlio dell’autore, Federico, nominato nella parte 1, come destinatario del messaggio e della discussione, politica, trattata.
Passando attravrso la metafora cattolica del figlio salvatore si delinea come il cambiameto reale passi attraverso le future generazioni cui quindi c’è un debito/dovere educativo, sanguineti scriverà nei successivi versi “forse la mano di mio figlio (dissi) / sarà natura”.
Ancora nella parte 3:

     in questo PURGATORIO DE L’INFERNO; perché in questo (noi)
siamo redenti (a mia moglie dissi): in questo matrimonio; ah
in questa (dissi), (noi) siamo redenti, ah questa dovevamo (anche)
coscienza (questa coscienza politica) ritrovare: mordente, questa
(indépassable, questo: le marxisme);

Stavolta il destinatario della riflessione è la moglie Luciana, con cui la vita privata (il matrimonio) e la vita pubblica (le idee politiche) si fondono.

     così (nella soffitti di via Pietro Micca) io e mia moglie
scrivemmo: W PCI (in ogni angolo); e io lo scrissi tre volte […]

In questi tratti si vede chiaramente come per cominciare l’aspetto autobiografico sia diventato centrale: ormai sono nati due figli, un terzo nascerà durante la stesura, diventa necessario per l’uomo che scrive mettere in scena piu direttamente anche se stesso.
In questi termini il progetto avanguardista tocca realmente un gradino inaspettato: quelle individualità e massa assumono la forma del pubblico e privato inscindibili, la verità democratica e repubblicana impongono l’impegno politico poiché attraverso questo impegno anche quello personale trova soddisfazione.
Il binomio individuo-massa è riappacificato nell’univocità di questo impegno che si esprime chiaramente nella commistione delle due realtà fatta sulla carta e si può anche dire che il neorealismo è realmente ora superato in quanto reincorporato tramite le sue caratteristiche imprescindibili di impegno diretto.
In merito guardiamo anche la parte 9:

piangi piangi, che ti compero una lunga spada blu di plastica, un frigorifero
Bosch in miniatura, un salvadanaio di terra cotta, un quaderno
con tredici righe, un’azione della Montecatini:
                 piangi piangi, che ti compero
una piccola maschera antigas, un flacone di sciroppo ricostituente,
un robot, un catechismo con illustrazioni a colori, una carta geografica
con bandierine vittoriose:
         piangi piangi, che ti compero un grosso capidoglio
di gomma piuma, un albero di Natale, un pirata con una gamba
di legno, un coltello a serramanico, una bella scheggia di una bella
bomba a mano:
       piangi piangi, che ti compero tanti francobolli
dell’algeria francese, tanti succhi di frutta, tante teste di legno,
tante teste di moro, tante teste di morto:
                 oh ridi ridi, che ti compero
un fratellino: che così tu lo chiami per nome: che così tu lo chiami
Michele:

La nascita del terzo figlio, Michele, oltre ad essere motivo di gioia e di gioco, come il tono filastroccheggiante fa trapelare, diventa un momento centrale di critica attraverso le immagini: spiccano i francobolli dell’algeria francese, che richiamano le date con cui si apre l’opera, ma anche le “tante teste di legno, / tante teste di moro, tante teste di morto”.

Oltre a queste considerazioni una lucidità maggiore si vede nella precisione e univocità dei termini: fascista, comunista, borghesia, come pure i nomi propri che figurano, sono tutti chiare indicazioni, i mezzi termini o le pieghe che rendono più sfumati i significati per molti versi decadono, la nevrosi personale e storica lascia spazio ad una analisi lucida delle parti che punta alla comunicazione chiara che in quanto tale non è più viaggio psicoterapico ma coscienza politica messa in gioco.

Ed è alla luce di queste considerazioni che possiamo cogliere una coerenza progettuale: non certo nel senso che sanguineti abbia scritto “Laborintus” in previsione di “Purgatorio de l’Inferno”, ma nel senso che le precedenti opere diventano materia solida su cui edificare perseguendo una visione d’insieme, un rinnovamento espressivo concreto e “sul pezzo”.
“Laborintus” è un punto di rottura letterario, è estremo, a tratti forse troppo, sul punto di essere caotico, ma una turbolenta necessità per certi versi: produce un modello operativo su cui Sanguineti interviene poi in modo programmatico e, mano a mano che ci prende confidenza, come fosse non semplicemente un’invenzione ma una scoperta, di quelle che escono di getto e stupiscono anche l’autore (e proprio l’invece notevole impegno che c’è in realtà stato deve farci pensare, com’è d’altronde vero per tutti e cinque gli autori de “I Novissimi”) ne trae un universo comunicativo che si erge per sedimentazione ed erosione, cosicche sul caos nevrotico e distopico (termine un po’ azzardato forse) si erige “Erotopaegnia”, più preciso e più pulito, non meno stravolgente e parte integrante della visione politica, sociale e letteraria del suo autore, che raggiunge una diversa maturità, come detto, in “Purgatorio de l’Inferno”.

E proprio in questa evoluzione si trova forse il preludio alla fase della vita di Sanguineti che, dopo T.A.T. e lo scioglimento del gruppo ‘63, lo vedrà lanciato nell’impegno politico diretto.
Ma questa è un’altra fase di cui spero di aver modo di scrivere in futuro.