Considerazioni personali sulla parte decima della "vita nova" di Dante

02 Jul 2022 - MDA DS

Dopo una lunga pausa dal blog, dovuta principalmente agli impegni lavorativi, ma anche dal molto scrivere, voglio analizzare una delle parti fondamentali della “Vita nova” di Dante Alighieri.
Trattasi della parte decima, fondamentale perché per molti versi si tratta dell’opera germinale del dolce stil novo come lo intendiamo.

Prima nota importante è dal punto di vista strutturale: ci troviamo subito dopo tre sonetti, numero forse non casuale vista la forte pregnanza della numerologia in tutta l’opera1, e ancora più importante ci troviamo di fronte alla prima canzone dell’opera.
Quindi gia numerologicamente possiamo volendo trovare i numeri 3 ed 1 ovviamente legati, inoltre la canzone nella linguistica dantesca, quella per intenderci del “de vulgari eloquentia”, rappresenta il genere più elevato, sul podio seguito da ballata e sonetto, infimo; parrebbe evidente insomma la posizione notevole di questa parte dell’opera.

Il cuore degli eventi si sviluppa intorno ad uno scambio di battute tra il Dante autore-protagonista ed un gruppo di donne; lo scambio si articola così:

In ognuno di questi passaggi di discorso ci sono delle rivelazioni notevoli.
Innanzitutto nel modo in cui le donne gli si rivolgono troviamo l’apparizione del tanto famoso termine “novo”, nel superlativo “novissimo” per giunta; in questo contesto è usato nel significato di “insolito, strano”, l’amore in questione è insolito in quanto non ricambiato, giacché il saluto è stato negato, sofferto, quindi materialmente inconcludente.
Questa considerazione è accolta: si inizialmente lo scopo della sua pratica amorosa-poetica era il saluto, simbolo dell’amore cortese di stampo provenzale, ma il suo venire a mancare non ha annullato la missione poetica, ne ha piuttoato rediretto lo scopo.
Ma se questa autorivelazione che dante fa quasi piu a se stesso che a loro è reale, va allora messa in pratica, diversamente dai tre precedenti sonetti che sono nel complesso di dolore ed autocommiserazione: segue quindi la a lungo rimuginata canzone “Donne ch’avete intelletto d’amore”.

La summa di queste considerazioni è nel cambio di rotta stilistico, nel passaggio alla canzone si, ma anche nell’inversione del motivo poetico.
La condizione dell’innamoramento, condizione necessaria all’elevazione spirituale, è condizione di tumulto emotivo e addirittura fisiologico (come si evince dai molteplici mutamenti somatici descritti nei sonetti precedenti), ma proprio in quanto situazione tumultuosa è presa di coscienza e possesso: paradossalmente nell’elevazione oltre ogni limite dell’oggetto d’amore la mancanza di corrispondenza diventa insignificante, non è importante che ci sia quel saluto in quanto più inarrivabile risulta la corrispondenza e più la situazione mima il rapporto dell’uomo con l’amore divino.
In un certo senso spogliando il rapporto tra il poeta e la sua musa terrena di materialità tale rapporto si sublima.

Questo processo artistico ha due effetti fondamentali:
1 Rimossa la corrispondenza della donna nel rapporto emotivo-artistico le si nega reale esistenza come soggetto partecipante; Non serve che la donna agisca in quanto indifferentemente dal suo agire il suo scopo reale, in soldoni, è quello di feticcio in un processo che adesso è puramente personale del poeta.
2 Rimosso il traguardo materializzabile della corrispondenza terrena l’amore diventa un gioco di sublimazione asintotica verso un amore ideale ed assoluto che nel contesto trecentesco è ovviamente l’amore divino.

In questa svolta artistica c’è il cuore pulsante di quello che viene definito dolce stil novo, dallo stesso Dante nel purgatorio, con diretta indicazione proprio alla canzone “Donne ch’avete intelletto d’amore”; Quindi dolce stile insolito: non tanto una scuola poetica, poiché a ben guardare è in effetti la personalissima interpretazione del Dante che matura artisticamente della scena poetica in cui si è formato ed è cresciuto, quanto piuttosto una possibilità poetica inedita, e cioè che la poesia possa puntare ad una dignità completamente scollegata dalle interazioni e dai rituali sociali della società feudale-di corte.
Addirittura farsi lingua di filosofia, poiché questa tensione smaterializzata, seppure nella versione teologizzata medievale, a questo necessariamente punta.
Insieme al “De vulgari eloquentia” si demarca qui quella presa di consistenza accademica ed estetica che è considerata come la nascita della lingua italiana.

Secondo questa interpretazione Dante sarebbe a tutti gli effetti il padre di questa, attraverso il volgare.
Una interpretazione che io personalmente non ritengo lontana dal vero, non solo per l’uso che ha fatto della lingua o per le specifiche considerazioni e trattazioni sulle forme poetiche e della lingua in se, quanto per la volontà di dare al volgare una dignità propria e innegabile, che a mio modesto parere emerge fortissima anche dal voler appropriarsi a tutto tondo della poesia, rendendolo mezzo di contenuti e dignità insoliti e audaci.
Su quanto poi Dante possa considerarsi più di qua o di là in quella flebile distinzione tra medioevo e umanesimo la questione resta ben più complicata.

  1. Solo nella prima parte dell’opera compare molteplici volte il numero 9 in quanto numero per eccellenza di virtù nel medioevo cristiano (si pensi ai nove prodi) ed associato a beatrice, questa operazione poi ricorrerà per tutta l’opera.