Un approfondimento, "Follie"

02 May 2021 - MDA DS

Sulla scia del precedente post, il primo della serie su Corazzini, ho deciso di fare un approfondimento su uno dei pezzi di “Dolcezze” che mi ha colpito di più.
Si tratta di “Follie”, che ricopre l’undicesima posizione in raccolta, emblematicamente dopo “Il fanciullo suicida”, quasi a costituire un blocco tematico.
Di una bellezza a dir poco estrema, riporto ora il testo completo, seguirà un tentativo di analisi:

Follie

Madonna, in vano anelo
vostre dolci parole;
per me non v’è più sole,
per me non v’è più cielo.

Io sopno come avvolto    5
in un sogno, in un sogno
triste; io non agogno
più nulla; io non ascolto

più nulla. Il cuore trema
a volte, forte: io penso    10
che sia la fine, io penso
l’unione suprema.


Oh la piccola bara,
ricordo, i tetri cerei
e gli arazzi funerei,    15
e poi la folla ignara

e la dolente, l’organo
molle e profondo, i chini
frati benedettini
che par da terra sorgano    20

ne la penombra delle
colonne, fra gli altari
fiammeggianti, con vari
aspetti; e le sorelle

candide, per i banchi    25
lunghi, oranti, soave
coro, ne la lor grave
veste e la corda ai fianchi,

e tu, e tu, mio amore,
piccola, fra le rose    30
che la mia mano pose
su la fronte, su’l cuore,

ne le mani conserte,
sopra i piedini lievi
- e tu non le vedevi    35
con le pupille aperte -

rose dovunque, fra i
capelli ch’io non sciolsi,
capelli per cui colsi
rose odorate mai,    40

su la bocca che rise,
che rise e poi si tacque
come gorgoglio d’acque
d’un subito divise,

su gli occhi dolci, avvinti    45
da una visione
ignota e poi corone,
di gigli, di giacinti,

una pioggia di petali,
e tu, e tu, mio amore    50
che godevi nel cuore
d’una gioia secreta

intensa, immensa e pura!
O morta ch’eri in cielo
e nel mio cuore anelo    55
di te, di te, creatura,

per cui arsero tutte
le fiammee voglie
e cadder come foglie
le speranze distrutte.    60


E poi la terra breve,
il cipresso diritto
come lancia, lo scritto
sopra il marmo di neve,

la croce che non seppe    65
Gesù, le spine, i chiodi,
i pianti che non odi
di chi, di chi non seppe

adorarti a bastanza
e le tombe e i cipressi    70
immobili lungh’essi
i viali ove danza

monna Morte ghignando,
e i cancelli che stridono
a ogni bara, a ogni grido    75
lugubre a quando a quando,

i fiori gialli che
il morto volle seco
per dirsi: «altrove io reco
fiori di terra», e    80

le lampadette, stelle
di cimitero, tetre
su le gelide pietre,
lugubri sentinelle,

e le grandi, notturne    85
ali, solcanti l’ombra
paurosa che ingombra
le tombe, i marmi, le urne…

Madonna, perdonate
se vi pensai, se forse    90
troppo il pensiero corse.
Madonna, perdonate.

Io vi vidi, tranquilla
in una bara, morta,
e vi sognai risorta    95
e il sogno ancor m’assilla

onde vano è il martoro
che l’anima dilania,
insana è questa smania
per le tue ciglie d’oro,    100

per le pupille gravi
di ombre, or nella morte
profondamente assorte
come quando sognavi,

per la tua bocca rossa    105
che non ho mai baciata
e che pure m’ha data
la dolorosa scossa,

per le tue mani stanche,
per le tue mani molli    110
che toccare non volli
(erano tanto bianche!),

per la voce che mai
non seppi, per i gesti
ignoti, per le vesti    115
che avevi e che ora avrai

nella semplice bara
fiorita; in somma tutto
amo di te, il mio lutto
sei tu, piccola cara!    120


Ohimè, dolce Madonna,
perdonate se forse
troppo il pensiero corse
pensandovi, Madonna.

Voi siete il sole, io sono    125
un pazzo che lo segue
e non concede tregue
allo spirito mai prono,

e come suo bagliore
i cieli azzurri infiamma,    130
s’agita la gran fiamma
del mio inutile amore!

Allora, innanzitutto facciamo qualche osservazione sulla struttura del componimento: si tratta di 33 quartine di settenari suddivise in quattro blocchi disomogenei (3+12+15+3), dei quali primo e ultimo tuttavia combaciano per numero di strofe.
Lo schema rimico è ABBA, fisso in ogni quartina.
Data questa struttura abbastanza chiara, cerchiamo di seguirla nella trattazione, per cui partiamo dalle prime tre quartine, che rappresentano il primo blocco ed introducono la vicenda narrata.

Da un punto di vista tematico queste strofe ricordano alcune figure de “la Madonna e il suo lampioncello”: l’immagine della fanciulla, indicata in modo cortese e reverenziale come Madonna, o anche immagini del cielo per trasmettere stati d’animo (vv. 3-4).
Appare subito peculiare l’enorme quantità di ripetizioni e rime imperfette, che tempestano queste strofe e, unite alla frammentazione metrico-sintattica tramite sinalefi ed enjambements, creano uno stile molto decadente (emblematica la quartina 9-12, che riassumono lo sfasamento tra lettura metrica e lettura a senso), che, nel caso specifico, ben riesce a creare un’atmosfera preliminare di estrema irrequietezza, un’irrequietezza (per il momento…) lucida, consapevole, ma anche enigmatica, la vicenda in se è ancora celata al lettore.
Nel complesso un precedente forte nella raccolta si può trovare in “dolore”, che, oltre ad essere sempre composta di settenari, condivide abbastanza strettamente i modi stilistici detti sopra.

Ancor più notevole la narrazione diventa nel secondo blocco di quartine, in cui lo stordimento irrequieto della prima parte è immediatamente spezzato: si parla di una fanciulla morta (“oh la piccola bara”, v. 13); blocco che si potrebbe a sua volta considerare diviso in due sottoblocchi:

La prima di queste due parti si caratterizza di uno stile simile a quello, ad esempio, di “chiesa abbandonata”, ricco di virgole e fondato sull’elencazione di dettagli; un espediente che ricorre di fianco ad atmosfere fortemente religiose e funeree, cariche di fervore ed estasi.
Particolarmente notevoli sono i vv. 15-17, tutti comincianti con la congiunzione “e”, che sovraccarica l’espediente e lo estremizza.

Immediatamente al v. 29 il registro muta verso un maggiore intimismo, in modo Pascoliano con un immediato sdoppiamento fondamenta “e tu, e tu”; diciamo che il fervore della narrazione resta, importato dalle quartine precedenti, tuttavia il soggetto muta profondamente, il lutto si è spostato nell’interiorità del narratore, dove l’atmosfera funebre, sempre richiamata con gli imperfetti, si fonde con la soavità di un immaginario naturale, che rimarca esperienze sia Pascoliane che, tantopiù, D’Annunziane per la sua abbondanza e maestosità, e riprende l’intima suggestione della prima parte.

La terza parte prosegue fondamentalmente su questo registro, alternando irrequiete elencazioni con brevi moti dell’anima, guardiamo ad esempio alla quartina 73-76 e troviamo l’infervorata proiezione di uno scenario cimiteriale, con tanto di Morte che ghigna, chiusa da un quieto e sofferente “a quando a quando”.
In questa turbatissima e straziata commistione di emozioni, riportata quasi faticosamente, ma con la foga del bisogno, si trova tutta l’anima precoce del crepuscolarismo Corazziniano che chiede prepotentemente di allentare le sue catene metriche.
Detto questo, va notato che anche questa parte si compone di due sottoblocchi, che si fondono in modo sfocato attorno alla quartina 89-92 in cui la fanciulla rientra direttamente nella narrazione: la prima vede gli espedienti che ho appena nominato a circondare la scena del lutto che si è ormai compiuto, e raggiunge il suo apice nello svuotamento della cerimonialità, il cimitero smette di essere popolato di vita e torna ad essere la casa dei morti, dove immagini come i marmi “di neve” e le “gelide pietre” comandano terribili.
La seconda supera definitivamentre il lutto e cala nel ricordo, l’espediente dell’elencazione si addolcisce nei toni e viene traslato dall’ambiente cimiteriale per posarsi delicato sulle caratteristiche della defunta, dettagli che inevitabilmente accendono ancor di più la fragile mente devastata del narratore, per cui l’elencazione e il dolce rammarico Pascoliano smettono di girarsi intorno e si fondono; Emblematici in questo senso sono i vv. 109-110 ad esempio.

Arriviamo così all’ultima parte, le ultime tre quartine, che riprende e capovolge la prima.
Tramite l’interiorizzazione del lutto, tramutatosi in ricordo compulsivo, come la ripetizione “Madonna” a fine vv. 121 e 124 infatti sottolinea, anticipata dalla stessa ripetizione ma ad inizio vv. 89 e 92, in un punto chiave, come già precisato, della narrazione, che fa tra l’altro da spartiacque rispetto al più dimesso e affranto “Madonna” ad inizio v. 1, la mente del poeta può ricomporssi e ritrovare il sole ed il cielo (notare i vv. 125 e 130), perduti a inizio componimento (notare invece i vv. 3-4), e con essi delle fattezze di realtà; Il prezzo tuttavia è stato alto, la realtà ritrovata è irrimediabilmente alterata dall’immagine e dal ricordo della fanciulla, si è compiuta definitivamente la discesa nella pazzia, vero soggetto di questa strabiliante lirica.

La notevolezza qui sta nel fatto che tramite le variegate fasi del componimente, cioè: introduzione, lutto pubblico, lutto personale, fine del lutto, ricordo e chiusura, si riescono a rioconoscere le importanti suggestioni di Corazzini, sia interne che esterne, che saranno gli elementi fondanti della raccolta tutta.
In questo senso, infatti, la sua lettura ed analisi risulta estremamente propedeutica alla comprensione di “Dolcezze”.