28 May 2021 - MDA DS
In questo post faro un approfondimento su un componimento specifico de “l’amaro calice”.
Questo approfondimento va inteso prima di tutto come complemento al precedente post, sulla raccolta nel suo insieme; è tuttavia sicuramente un’eccellente occasione per vedere più da vicino una poesia molto importante della produzione di Corazzini, soprattutto nel panorama crepuscolare. Innanzitutto ecco il testo:
Il sagrestano pazzo
traversò la chiesa oscura,
lentamente, con il mazzo
delle chiavi appeso alla cintura.I frati, ne le piccole celle, 5
dicono le orazioni
de la sera, poi, quando le stelle
prime de l’Ave Maria
stanno su le cose terrene,
ogni monaco viene 10
al suo piccolo letto,
nitido come un altare,
e accende il luminetto
a la Vergine Maria,
che non fa che lagrimare 15
perché ha sette spade in core
che le dànno acerba doglia,
sempre acerba e sempre lenta!
Poi ognuno si spoglia,
e ognuno s’addormenta 20
nella pace del Signore.L’acquasantiera di bronzo, tonda,
sembra un occhio lagrimoso
che il suo pianto silenzioso
a stille su le fronti de gli uomini diffonda. 25I confessionali, con le loro
tendine verdi un po’ sciupate,
con le piccole grate
gialle che ne l’ombra sembrano d’oro,
sonnecchiano allineati, 30
ognuno con le sue due candele
spente a i lati.
Sono essi, alveari ove ronzino, api, i peccati,
e l’assoluzione sia miele?Un rosario di granatine 35
a i piedi del Crocifisso morente
sembra sangue gocciato lentamente
dalla fronte coronata di spine.Un piccolo libro delle
Massime Eterne fu dimenticato 40
sopra una sedia, aperto.
E’ logoro. Certo,
è d’una delle solite beghine
che vengono la sera.
Fra le pagine c’è un Santo: 45
san Giovanni decollato;
dietro il Santo, una preghiera.
Il libro dimenticato
aperto, è l’unica bocca che parli
nella chiesa silenziosa, 50
è l’unico occhio che veda,
nella chiesa oscura,
la morte della creatura.Il sagrestano recise la grossa
corda per cui pendeva davanti la figura 55
di Cristo, la lampada rossa
con la sua fiamma quieta e pura.
La lampada cadde con sorda
percossa su le pietre sepolcrali;
l’uomo con tre moti uguali 60
girò intorno al collo la corda
e penzolò nel vuoto.
Davanti il Crocifisso
sembrò un macabro voto
improvvisamente sorto 65
fra il Cielo e l’Abisso.Poi che la lampada non c’era più
biancheggiò d’avanti Gesù,
piamente la cotta del sagrestano morto.
Da notare, per cominciare, alcune caratteristiche strutturali: il componimento è formato da 69 versi, suddivisi in 4+17+4+9+4+15+13+3; sillabicamente si va dai settenari fino ad escursioni di alessandrini; le rime sono abbondanti, ma lo schema non è regolare in senso stretto.
Proprio le rime tuttavia rappresentano un aspetto notevole della lirica; difatti tutto il componimento si snoda su gruppetti rimati a mo di quartine o terzine di sonetto, salvo, ovviamente, le variazione che non alterano comunque questa idea fondamentale, nonché le inevitabili eccezioni.
Riallacciandomi al discorso sviluppato nel precedente post, questa destrutturazione della fondamentale struttura italiana, il sonetto, rappresenta la naturale sperimentazione metrica del poeta verso una certa prosizzazione del verso, attraverso il ricorso alla licenza: quindi la legittimazione dell’esperimento sta nell’esistenza della regola stretta e nel suo essere stata infranta.
E nell’ambito di questa tendenza, per quanto riguarda “l’amaro calice”, il componimento in questione rappresenta peraltro l’esempio piu notevole: se infatti nelle altre liriche anomale, cioe non strettamente regolari da un punto di vista metrico (che poi, nel caso de “l’amaro calice”, significa principalmente i non sonetti), c’è sempre una regola sillabica, che qui viene invece, infine, a mancare.
Ribadita quindi l’anti-regola che sottende alla poesia, risulta essere il necessario passo successivo provare a cogliere i cocci della regola infranta, immancabilmente sparsi per il componimento.
In particolare è notevole la ricorrenza delle quartine, alternate a strofe di lunghezza invece varia, che racchiudono entro questa regolarità il punto di vista principale della scena narrata, cui invece si contrappone la panoramica ad ampio respiro delle strofe cui si alternano.
Se, infatti, nelle quartine spicca la doppia figura del sagrestano e del crocifisso, e delle loro immediate circostanze, nelle strofe che le alternano spicca la descrizione degli ambienti della chiesa, presi alla lontana a partire dagli alloggi dei frati (strofa 2), racchiudendo gradualmente la scena delle quartine, passando attraverso i confesionali schiacciati sulle pareti dell’ambiente principale (strofa 4) per poi attraversare le arcate passando sulle panche di legno, che accolgono i resti delle messe diurne (strofa 6).
È immancabile, vista questa doppia tensione, che le due scene finiscano poi per fondersi, racchiudendo il binomio sagrestano-crocifisso entro i canoni descritivi delle strofe lunghe (strofa 7); segue la conclusione, sotto forma di terzina rimata, in modo estremamente innaturale, AAB, col verso finale alessandrino, a dilatare questa conclusione molto prosaica.
Volendo passare a una visione un po’ piu nel dettaglio, si trova lo stile che, inserito in una struttura estremamente ragionata come quella che abbiamo delineato, rende vivo il componimento.
l’immaginario prende ampiamente spunto da registri simbolici gia ben collaudati dall’autore, soprattutto nelle prime strofe, come la vergine maria sofferente o i fiochi lumini; molto meno tradizionale la presentazione del protagonista, netta e categorica, assai lontana da piu usuali tentativi corazziniani di gradualità e dilatazione nella presentazione di personaggi e vicende (pensiamo ad esempio a “il fanciullo suicida” per fare un paragone pertinente), nonché, ancora piu a monte, il titolo, che non inquadra ne il preambolo ne il cuore della vicenda, ma si proietta in un futuro nel quale le vicende narrate sembrano essere state pacificate finalmente, il sussulto materiale e spirituale provocato dal suicida sembra sistemato, non fosse per quei puntini di sospensione, che immancabilmente danno ragione di insoddisfazione e sospensione: si la chiesa e stata riconsacrata, ma cosa vale? Puo essere sufficiente come motivo per ritrovare quella fiducia e tranquillita che l’hanno ormai da tempo abbandonata? Il risultato ha un sapore amarissimo.
A fianco a immagini note e rivisitazioni nuove troviamo vere e proprie novità celeberrime, ad esempio le beghine, un classico dell’immaginario crepuscolare, almeno fino alla definitiva umiliazione del Palazzeschi incendiario1.
Ultimo dettaglio che non puo sfuggire è la dedica a Govoni, che gia nel 1903 aveva pubblicato due capisaldi del crepuscolarismo2 (negli anni successivi si avvicinerà invece al futurismo), che ci palesa immancabilmente quella tendenza al crepuscolarismo che smascheriamo tirando le somme di cio che abbiamo detto.
L’escursionismo sillabico unito alla variabile lunghezza della maggior parte delle strofe, nonché uno stile piu scarno e centellinato nei virtuosismi, si approssima a un certo modo prosastico di versare che, unendosi a quell’intimismo delicato e terribile che caratterizza “l’Amaro Calice”, fa di questo componimento un manifesto di crepuscolarismo Corazziniano.
E’, in merito, interessante notare che palazzeschi e corazzini furono in ottimi rapporti fino alla morte di quest’ultimo. ↩
Le opere in questione sono “Le fiale” e, ancora più importante per quanto riguarda il panorama crepuscolare, “Armonia in grigio et in silenzio” ↩