Canti da Castelvecchio 4: "La Bicicletta"

08 Feb 2022 - MDA DS

Prosegue la serie di post di approfondimento sui “Canti di Castelvecchio” con una scelta abbastanza particolare: “la Bicicletta”.
Di seguito il testo:

I

Mi parve d’udir nella siepe
la sveglia d’un querulo implume.
Un attimo… Intesi lo strepere
cupo del fiume

Mi parve di scorgere un mare       5
dorato di tremule mèssi.
Un battito… Vidi un filare
di neri cipressi.

Mi parve di fendere il pianto
d’un lungo corteo di dolore.       10
Un palpito… M’erano accanto
le nozze e l’amore.
dlin… dlin…

II

Ancora echeggiavano i gridi
dell’innominabile folla;       15
che udivo stridire gli acrìdi
nell’umida zolla.

Mi disse parole sue brevi
qualcuno che arava nel piano:
tu, quando risposi, tenevi       20
la falce alla mano.

Io dissi un’alata parola,
fuggevole vergine, a te;
la intese una vecchia che sola
parlsava con sé.       25
dlin… dlin…

III

Mia terra, mia labile strada,
sei tu che trascorri o son io?
Che importa? ch’io venga o tu vada,
non è che un addio!       30

Ma bello è quest’impeto d’ala,
ma grata è l’ebbrezza del giorno,
Pur dolce è il riposo… Già cala
la notte: io ritorno.

La piccola lampada brilla       35
per mezzo all’oscura città.
Più lenta la piccola squilla
dà un palpito, e va…
dlin… dlin…

La struttura è abbastanza semplice: tre parti, ognuna costituita da tre strofe di tre novenari ed un senario, l’ultima strofa con un verso onomatopeico aggiunto.
I quattro versi sono legati da rime incrociate ABAb.

Questa struttura è piuttosto regolare; Le particolarità più notevoli si trovano in effetti in apertura di testo, dove abbiamo in conclusione della prima strofa il novenario sdrucciolo ed il senario mozzato a quinario.
Questa mozzatura è in senso di acefalo, ovvero le accentazioni sono traslate di una sillaba a sinistra per così dire.
Trovo che queste irregolarità preliminari siano interessanti e rappresentino bene l’immaginario ciclistico i una partenza rapida ed instabile, ma repentina, che tentenna.

L’accostamento si rivela molto azzeccato proseguendo nel testo, ce cavalca proprio questa suggestione motoria: abbondano gli enjambement e i collegamenti interstrofici1, le somiglianze e ripetizioni tra capistrofa, in modo più o meno ovvio2.
E allontanandoci dal contesto strutturale per andare dalla parte semantica e dei concetti il copione resta quello di una sequenza rapida di immagini, che vogliono chiaramente mimare la velocità e repentinità del viaggio in bici.

Elemento fondamentale dell’espediente diventa la punteggiatura: in particolare i puntini di sospensione (non nuovi a Pascoli) che tanto in apertura quanto in chiusura accompagnano lo stupore del mondo che cambia intorno al ciclista, quasi più rapidamente dell’immaginazione dello stesso.

Altro elemento fortemente strutturante è un’andatura dal positivo al negativo, che accompagna sia il naturale scorrere del tempo che la tendenza emotiva del poeta, sempre incline alla discesa: dal cinguettare del pulcino allo strepere cupo del fiume, dalle messi ai cipressi, dalla giovane vergine alla vecchia sola, dal giorno alla notte, soprattutto dalla vita alla morte.
Controtendenza in merito è la strofa terza della parte prima, dove dal funerale si va al matrimonio: ciò si potrebbe tentare di integrare nella struttura provando a giustificare il fatto che il matrimonio abbia quindi un senso più negativo o comunque posteriore al funerale, si potrebbe pensare in merito ai due momenti chiave del Pascoli di Castelvecchio, ovvero le morti familiari ed il matrimonio della sorella Ida; Tutto ciò è chiaramente molto aleatorio e potrebbe semplicemente trattarsi di una inversione tematica che sposta la successione in negativo su un piano superiore, ovvero tra le tre parti del componimento.

Trovo che il grosso dell’interesse che questo componimento può suscitare sia su due livelli ben definiti:

In questo contesto troviamo comunque l’usuale tendenza di Pascoli al negativo, come ho avuto modo di dire, ma con una nota stonata: a parte il dettaglio controcorrente del funerale e matrimonio, che merita certamente attenzione già solo per la pregnanza del soggetto nell’immaginario poetico dell’autore, la parte terza si apre con il pieno della negatività, non importa chi sia a correre ed andare il tutto è sempre un addio, un susseguirsi di morte e fine; Molte poesie di Pascoli potrebbero chiudersi così, ma in questo caso c’è il lieve riscatto: “ma bello è quest’impeto d’ala”, che riprende anche l’immagine precedente al v. 22, e quel calare del buio, strutturalmente sempre discendente, non è poi così brutto, poiché il riposo è meritato e dolce.

Il tutto si chiude con un lampo di luce ed un fischio di trombetta, un duplice impeto visivo e sonoro che nella sua piccolezza pervade e rischiara in un colpo solo l’oscurità e il silenzio della città e dell’animo dell’autore.

  1. Notevolissima la connessione nella parte prima tra “un attimo”, “un battito” e “un palpito”. 

  2. Ad esempio nella parte prima troviamo la ripetizione esatta di “mi parve”, mentre nella parte seconda a ripetersi è il gesto del dire da “mi disse” a “io dissi”. 

  3. Notevoli i vv. 18-21, con l’immaginario campestre e le fasi della vita e morte che implicitamente rappresentano. 

  4. Nel post precedente su “La Voce” l’attenzione era completamente incentrata sul piano prosodico invece.