la storia di Jesus Abdél

22 Apr 2022 - MDA DS

Con questo post, il primo dopo alcuni mesi di stop dovuti a impegni soffocanti, voglio presentare il mio ultimo scritto.
Jesus Abdél è un rider nel periodo immediatamente successivo alla morte del collega e strettissimo amico Martino, investito da un’auto durante il lavoro.
Questo evento farà da scintilla nella rivalutazione della sua vita e dell’ambiente che lo circonda.
A parte questo fondamentale input contestuale come al solito consiglio prima di leggere l’opera e trarre le proprie conclusioni, il link al download lo trovate in homepage o cliccando qui.

Il soggetto trova il mio personale interesse, ed è espediente per mettere in discussione il rapporto tra vicenda personale e vicenda sociale, che si intrecciano su multipli piani di esistenza: nel rapporto indiretto coi manifestanti, nel rapporto con i senzatetto elemento fragile per eccellenza, nel rapporto diretto con la violenza.
La morte del collega scatenerà nel protagonista un percorso di rivalutazione completa della sua vita che lo porterà a scontrarsi direttamente ed in modo volutamente violento con la società in cui è immerso, caratterizzata dalla legittimazione dell’abuso e da una totale alienazione emotiva.
Questa violenza lo porta finalmente a scontrarsi con un poliziotto uccidendolo, e conseguentemente in prigione: qui, attraverso il rimorso e lo spegnimento di ogni energia vitale, anche causato dagli abusi fisici, si suicida.
Il ricalcolo dell’eredità di Jesus su ciò che lo circonda, che è eredità in quanto posteriore a lui ma anche come nonostante lui, a segno dell’individualità fondamentale che muove le operazioni collettive, è fatto nella parte finale in una sintesi etica tra l’eredità della solidarietà socialista e quella del più genuino pauperismo caritatevole cristiano.

La portata della struttura sulla valutazione dell’opera merita di essere spiegata: come nella mia ultima operetta, che in tal senso è stata un po’ un esperimento germinale per Jesus Abdél, mi sono focalizzato sul modello di un prosimetro molto fluido, che in questo caso tocca tutti i punti dello spettro tra la pura prosa (la parte 19) e la pura poesia (la parte 18), con l’intento di accompagnare la narrazione.
A grandi linee il grado di “metricità” segue la quantità di isolamento e incoscienza del protagonista, logica per cui i sogni sono in stili metrici tradizionali (terzina dantesca, ottava rima, endecasillabo sciolto e sesta rima) disturbati da fluttuazioni, e ancora la permanenza in cella è espressa attraverso una corona di sonetti, che rappresentano la grande gabbia metrica per eccellenza della poesia italiana, in cui le licenze rimiche si impongono prepotenti ed impotenti come inutili sprazzi di ribellione al torpore.
Eccezione apparente la fa il momento del suicidio, puramente prosa in quanto definitiva spersonalizzazione, perdita completa di una interiorità complessa e pregna di vita che necessariamente precede un simile gesto.
La penultima parte, un cut up fittizio, rappresenta un omaggio a Balestrini, maestro di questa tecnica ed esponente di punta dell’arte di sinistra italiana; l’ultima parte ricalca la numerologia del cantico delle creature di san francesco, l’elemento più fondamentale del pauperismo cristiano.

Allo stesso tempo è volutamente ingombrante la numerologia, in buona parte su falsariga cristiana, che percorre tutta l’opera: la si trova nel numero di componimenti (21=7x3) come nella sequenza numerica degli stessi, ovvero 1+4x3+3x2+2x1, un cerchio che si richiude quindi, cosa che si riflette anche in termini semantici: si inizia con le manifestazioni e si chiude con le stesse, solo che all’inizio sono un evento esteriore, mentre alla fine si può guardarle da dentro.
Un aspetto cui ho dato particolare attenzione e che rappresenta la pluralità di significati che ho provato a mettere per iscritto, sperando di esserci riuscito.